Dal mare, il vento si insinua tra le montagne strette. Increspa le acque chiare del lago nella baia. E piega l’erba dei tetti delle case di Saksun. Abbarbicate sul promontorio, disegnano l’orizzonte di questo paesino nel nord di Streymoy – la più grande delle isole Faroe.
Un orizzonte che la natura continua a cambiare col sovrapporsi dei colori mentre vestono i declivi intorno. Solo il bianco della piccola chiesa, lì davanti, sembra immutabile nel mutare del tempo.
Costruita a Tjørnuvík, fu smontata, portata attraverso le montagne e rimontata pezzo a pezzo a Saksun nel 1858. Circondato da una staccionata chiusa da un cancello con lucchetto, l’edificio viene aperto solo la domenica quando si celebra messa.
Dai vetri incrostati di salsedine, intuisco banchi di legno grezzo e il modellino di una nave appeso al soffitto. Prima che una tempesta bloccasse l’ingresso della baia, qui davanti c’era un porto naturale e profondo.Oggi è un piccolo lago dalle acque chiare e leggere. Ricco di trote e salmoni ambite dai pescatori che arrivano sin qui, il Saksunarvatn riflette le montagne intorno venate da docili cascate che lo alimentano con la loro acqua scoscesa.
Non lontano dalla chiesa e dai pochi edifici dal tetto di torba che sono casa per i trenta abitanti di Saksun, c’è il museo di Dúvugarður. A dargli nome è la fattoria omonima caratterizzata dall’allevamento di circa trecento pecore.
La casa colonica del XVII secolo è fatta di pietra grezza ed erba: dentro ci sono gli oggetti usati dai faroesi per coltivare questa terra brulla rubata al mare, alcuni ninnoli delle vecchie abitazioni, i ricordi sopravvissuti.
Fuori, il vento soffia pioggia: bagna le case sul promontorio, buca le acque chiare del lago nella baia, e gonfia il mare oltre le montagne di Saksun.
Per approfondire:
Wikipedia
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